Archivio mensile Febbraio 2019

AGEVOLAZIONI FISCALI PRIMA CASA

AGEVOLAZIONI FISCALI PRIMA CASA

BONUS PRIMA CASA

E’ una agevolazione consente di pagare le imposte sul rogito in misura notevolmente ridotta in presenza di determinate condizioni:

  • non bisogna essere proprietari (neanche per una semplice quota o in comunione dei beni) di altri immobili adibiti ad abitazione nello stesso Comune ove si trova l’immobile da comprare. In caso contrario, l’immobile precedente deve essere venduto o donato prima della firma dell’atto notarile relativo al nuovo acquisto (quindi è possibile farlo dopo la stipula del compromesso);
  • non bisogna essere proprietari (neanche per una semplice quota o in comunione dei beni) di altri immobili adibiti ad abitazione, ovunque essi situati in Italia, acquistati in precedenza con il bonus prima casa. In caso contrario, l’immobile precedente deve essere venduto o donato entro i 12 mesi successivi dall’atto notarile relativo al nuovo acquisto;
  • occorre spostare la residenza nel Comune (e non necessariamente all’indirizzo specifico) ove si trova il nuovo immobile da acquistare. Si ha tempo fino a 18 mesi dal rogito per farlo. Non è consentito alcun ritardo salvo vi sia un giustificato motivo non dipendente da colpa del proprietario (ad esempio è stato ritenuto non rilevante il ritardo nei lavori di ristrutturazione dell’appartamento). In alternativa alla residenza, è possibile usufruire dell’agevolazione prima casa se l’immobile acquistato si trova nel Comune in cui l’acquirente svolge la propria attività lavorativa o di studio;
  • il nuovo immobile non deve essere di lusso. In pratica esso deve essere accatastato in una delle seguenti categorie A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7, A/11. Le agevolazioni “prima casa” non sono ammesse, invece, per l’acquisto di un’abitazione appartenente alle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici).

Per ottenere il bonus prima casa il requisito della residenza è imprescindibile. Tuttavia è sufficiente che l’acquirente sia residente nel Comune e non anche all’indirizzo ove è ubicato l’immobile appena comprato. Quindi l’acquirente potrebbe usufruire del bonus prima casa anche se decidesse di dare in affitto la casa nuova e di andare a vivere in un’altra abitazione, purché situata nello stesso Comune.

La legge si limita a richiedere il presupposto della residenza nel Comune ove si acquista il nuovo immobile al momento del rogito (ossia della firma dell’atto notarile di acquisto) o, al massimo, entro i 18 mesi successivi.

La legge non precisa quanto tempo minimo bisogna mantenere la residenza in tale Comune, né se si può cambiare residenza senza perdere le agevolazioni fiscali sulla prima casa. Sul punto non ci sono neppure precisazioni dell’Agenzia delle Entrate, né norme di interpretazione autentica, né sentenze che dicano come comportarsi.

Nell’assoluto silenzio normativo e giurisprudenziale si può ritenere che il mantenimento della residenza nel nuovo immobile non sia condizione necessaria per mantenere il bonus prima casa. Dunque, il contribuente, decorsi almeno i 18 mesi dal nuovo acquisto, potrebbe in un successivo momento spostare la propria residenza altrove. Solo per fini precauzionali sarebbe opportuno attendere quanto meno il triennio di decadenza per l’accertamento fiscale e, quindi, cambiare residenza dal quarto anno in poi dopo l’acquisto.

Detrazioni interessi passivi sul mutuo per l’acquisto della prima casa

La seconda agevolazione fiscale prevista sull’abitazione è la detrazione del 19% sugli interessi dovuti alla banca per le rate del mutuo

Ogni rata del mutuo è composta, in parte, da una quota del capitale ottenuto in prestito – che viene restituita così gradatamente – e, in altra parte, dagli interessi prestabiliti nel contratto. Nel caso in cui il mutuo sia rivolto all’acquisto della prima casa, il 19% della somma che l’acquirente versa a titoli di interessi, può essere detratto dalle tasse. La detrazione non opera più superati 4.000 euro di interessi. Quindi il bonus massimo ottenibile in sede di dichiarazione dei redditi dal sostenimento di questi oneri è pari a 760 euro (19% di 4.000 euro).

Per ottenere questa seconda agevolazione fiscale, sono necessari tutti i presupposti che si sono elencati per il cd. Bonus prima casa e in particolare, spostare la residenza nel Comune ove si trova la casa da acquistare entro 18 mesi dal rogito o, in alternativa, avere ivi situata la sede del proprio lavoro.

Esenzione e Tasi sull’abitazione principale

Un’altra agevolazione fiscale collegata alla proprietà di un immobile è l’esenzione da Imu e Tasi. In questo caso però la legge non parla di “prima casa” ma di abitazione principale. Il concetto è completamente diverso. 

Per non pagare l’Imu e la Tasi sono necessari due differenti presupposti: 

  1. la residenza all’interno dell’immobile acquistato (quindi, in tal caso, non basta fissare la residenza all’interno dello stesso Comune ma è necessario che essa coincida proprio con l’indirizzo del nuovo immobile);
  2. la contestuale dimora abituale dell’acquirente e della sua famiglia. In pratica tutto il nucleo familiare deve vivere quotidianamente – o comunque per gran parte dell’anno – all’interno dell’immobile in questione.

La residenza è il dato formale: è quanto risulta nei registri dell’anagrafe. La dimora è invece il dato di fatto: è il luogo ove una persona vive prevalentemente. In ogni caso il nostro ordinamento non consente di stabilire residenze di comodo: la residenza dichiarata all’ufficio anagrafe deve essere dislocata necessariamente all’interno della propria dimora abituale, ossia dove si vive, si dorme e si cena per gran parte dell’anno. Come chiarito più volte dalla giurisprudenza (CTR Lombardia sent. n. 531/2019), la legge (Art. 13, comma 2 del dl 201/11) accorda le agevolazioni fiscali sulle imposte locali Imu e Tasi (non anche per la Tari) ai proprietari degli immobili in cui gli stessi proprietari oltre che essere residenti, siano anche dimoranti. Difatti, con il passaggio dall’Ici all’Imu i requisiti sono variati: per le agevolazioni per l’Imu e la Tasi, infatti, è richiesto il duplice requisito della dimora abituale e della residenza. Questo significa che, ai fini di questa agevolazione, può considerarsi solo abitazione principale quella in cui il possessore risieda anagraficamente e dimori abitualmente insieme ai suoi familiari. Quindi, chi ha la proprietà di una casa e successivamente stabilisce la residenza in un altro immobile senza abitarlo non può ottenere, per nessuno dei due immobili, le agevolazioni previste per l’abitazione principale. 

DIVIETO DI PIGNORAMENTO DELLA PRIMA CASA

L’ultima agevolazione collegata agli immobili di proprietà è il cosiddetto “divieto di pignoramento della prima casa”. In verità, nonostante comunemente si parli di “prima casa”, il beneficio è invece relativo all’abitazione principale. In pratica, chi ha debiti con l’Agente della Riscossione (che, per le imposte erariali, è l’Agenzia Entrate Riscossione) non subisce il pignoramento dell’abitazione a condizione che:

1)         sia proprietario di un solo immobile: la proprietà, anche solo per quote o in comunione, di un altro immobile, rende entrambi pignorabili;

  • tale immobile sia adibito a civile abitazione;
    • in tale immobile sia fissata la residenza del contribuente;
    • l’immobile non deve essere di lusso ossia accatastato A/8 o A/9.

In presenza di tali condizioni solo l’Esattore non può pignorare la casa. Lo possono però fare i creditori privati come la banca o i fornitori.

Se manca anche uno solo di tali requisiti – si pensi al contribuente che, pur titolare di una sola casa, ha preferito darla in affitto – l’immobile è pignorabile da parte dell’Agenzia Entrate Riscossione. Tuttavia lo sarà solo se il debito per cartelle scadute e non pagate supera 120mila euro e il valore complessivo di tutti gli immobili intestati al contribuente è superiore a 120mila euro.

PIGNORAMENTI IMMOBILIARI 2019: nuove regole decreto “semplificazioni”

Il Governo ha cambiato di nuovo le regole del processo civile e, in particolare, quelle sui pignoramenti immobiliari, al fine di tutelare i debitori consentendo loro di rimanere nelle case messe all’asta dai tribunali finché il bene non verrà aggiudicato al miglior offerente.

Provvedimento già molto criticato perché complica ulteriormente il recupero dei crediti, con diverse prevedibili conseguenze:

  • la presenza del debitore all’interno dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata, per tutta la durata della procedura, potrebbe disincentivare la partecipazione alle vendite giudiziali.
  • sicuramente anche una maggiore contrazione e onerosità dei mutui;
  • ed anche la ulteriore perdita di immagine della nostra giustizia, incapace da sempre di tutelare i diritti di chi si rivolge ad essa per la tutela dei crediti.

Nel dettaglio: fin quando la casa messa all’asta non viene aggiudicata e venduta, la proprietà resta in capo al debitore. Tuttavia questi ha poteri molto limitati sul proprio bene:

  • non può disporne (ossia non può venderlo, né donarlo),
  • non può modificarne la destinazione (non può ad esempio trasformarlo da civile abitazione a negozio),
  • non può distruggerlo o deteriorarlo,
  • non può darlo in affitto (in tal caso il canone andrà a finire alla procedura esecutiva), ecc.

Tuttavia, il pignoramento non comporta l’automatico spossessamento del bene e, se si tratta di un’abitazione privata, il debitore può continuare a rimanervi all’interno fin quando il bene stesso non viene aggiudicato al miglior offerente.

Il giudice nomina comunque un custode incaricato di controllare l’immobile (a Reggio Emilia generalmente l’Istituto Vendite Giudiziarie) e il comportamento del debitore, affinché quest’ultimo non impedisca la vendita del bene.

La precedente versione dell ‘art. 560 c.p.c. conferiva al giudice dell’esecuzione forzata ampi poteri di ordinare lo sfratto del debitore tutte le volte in cui lo avesse ritenuto necessario ai fini di una più sollecita vendita. La norma disponeva infatti che «il giudice dell’esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile».

Oggi invece questa discrezionalità viene fortemente limitata. La nuova versione della norma stabilisce il diritto del debitore (e dei suoi familiari conviventi) a continuare ad abitare nell’immobile pignorato fino al decreto di trasferimento che conclude l’espropriazione forzata.

Ciò nonostante il debitore deve comportarsi in modo corretto per tutta la durata dell’esecuzione: non può, ad esempio, compiere atti volti ad ostacolare la vendita dell’immobile; deve conservare il bene tutelandone l’integrità, con la diligenza del buon padre di famiglia; deve abitare l’immobile personalmente e non può darlo in affitto (locazione); deve consentire, d’accordo con il custode, la visita dell’immobile da parte di potenziali acquirenti, con le modalità individuate dal giudice quando ha autorizzato la vendita dell’immobile.

Se il debitore rispetta le disposizioni «il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento».

In caso contrario (se ad esempio il debitore ostacola le visite di interessati all’acquisto, se non cura la manutenzione dell’immobile, se viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico) il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell’immobile pignorato.

In pratica, se il debitore si comporta bene non può essere sfrattato dalla sua casa, prima della fine della procedura esecutiva.

Il giudice infine ordina lo “sfratto” del debitore dall’immobile quando questi non lo abita più ossia quando ha adibito un altro immobile a propria dimora abituale.

È dovere del custode dell’immobile pignorato vigilare sulla conservazione del bene pignorato, conservazione che il debitore e i suoi familiari devono attuare con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l’integrità.

Le critiche alle modifiche legislative sono ovvie. Pensiamo ad esempio a un condominio dove ci sia un comproprietario che non paga le spese condominiali da anni. L’amministratore di condominio su mandato degli altri condomini incarica un avvocato per il recupero del credito. Ma il comproprietario moroso non ha altri beni al di fuori dell’appartamento che abita nel condominio in questione. Ottenuto il decreto ingiuntivo, viene iniziata la procedura esecutiva immobiliare e secondo le nuove regole il condomino moroso è autorizzato a continuare a vivere nell’immobile pignorato, senza mai pagare nulla. Nel frattempo le aste in tribunale vanno tutte deserte, perché nessuno è interessato ad acquistare un immobile se al suo interno c’è il debitore, il quale, verosimilmente, anche dopo l’aggiudicazione dell’immobile all’asta, non se ne andrà spontaneamente. L’aggiudicatario dell’asta dovrà ricorrere all’esecuzione forzata, spendendo altri soldi, con incertezza sui tempi.

Vediamo nel dettagli le modifiche all’articolo 569 cod. proc. civ.

A seguito dell’istanza di vendita del bene, presentata dal creditore, il giudice nomina entro 15 giorni un perito per la determinazione del valore dell’immobile e fissa l’udienza di comparizione delle parti. Non oltre trenta giorni prima dell’udienza, il creditore pignorante e i creditori già intervenuti depositano un atto, sottoscritto personalmente dal creditore e previamente notificato al debitore esecutato, nel quale è indicato l’ammontare del residuo credito per cui si procede, comprensivo degli interessi maturati, del criterio di calcolo di quelli in corso di maturazione e delle spese sostenute fino all’udienza.

In difetto, agli effetti della liquidazione della somma, il credito resta definitivamente fissato nell’importo indicato nell’atto di precetto o di intervento, maggiorato dei soli interessi al tasso legale e delle spese successive.

L’atto di quantificazione dovrà essere previamente notificato al debitore.

Le nuove disposizioni si applicano alle procedure esecutive iniziate dopo la data di entrata in vigore dell’intervento di modifica.