PIGNORAMENTI IMMOBILIARI 2019: nuove regole decreto “semplificazioni”

PIGNORAMENTI IMMOBILIARI 2019: nuove regole decreto “semplificazioni”

Il Governo ha cambiato di nuovo le regole del processo civile e, in particolare, quelle sui pignoramenti immobiliari, al fine di tutelare i debitori consentendo loro di rimanere nelle case messe all’asta dai tribunali finché il bene non verrà aggiudicato al miglior offerente.

Provvedimento già molto criticato perché complica ulteriormente il recupero dei crediti, con diverse prevedibili conseguenze:

  • la presenza del debitore all’interno dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata, per tutta la durata della procedura, potrebbe disincentivare la partecipazione alle vendite giudiziali.
  • sicuramente anche una maggiore contrazione e onerosità dei mutui;
  • ed anche la ulteriore perdita di immagine della nostra giustizia, incapace da sempre di tutelare i diritti di chi si rivolge ad essa per la tutela dei crediti.

Nel dettaglio: fin quando la casa messa all’asta non viene aggiudicata e venduta, la proprietà resta in capo al debitore. Tuttavia questi ha poteri molto limitati sul proprio bene:

  • non può disporne (ossia non può venderlo, né donarlo),
  • non può modificarne la destinazione (non può ad esempio trasformarlo da civile abitazione a negozio),
  • non può distruggerlo o deteriorarlo,
  • non può darlo in affitto (in tal caso il canone andrà a finire alla procedura esecutiva), ecc.

Tuttavia, il pignoramento non comporta l’automatico spossessamento del bene e, se si tratta di un’abitazione privata, il debitore può continuare a rimanervi all’interno fin quando il bene stesso non viene aggiudicato al miglior offerente.

Il giudice nomina comunque un custode incaricato di controllare l’immobile (a Reggio Emilia generalmente l’Istituto Vendite Giudiziarie) e il comportamento del debitore, affinché quest’ultimo non impedisca la vendita del bene.

La precedente versione dell ‘art. 560 c.p.c. conferiva al giudice dell’esecuzione forzata ampi poteri di ordinare lo sfratto del debitore tutte le volte in cui lo avesse ritenuto necessario ai fini di una più sollecita vendita. La norma disponeva infatti che «il giudice dell’esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca la detta autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile».

Oggi invece questa discrezionalità viene fortemente limitata. La nuova versione della norma stabilisce il diritto del debitore (e dei suoi familiari conviventi) a continuare ad abitare nell’immobile pignorato fino al decreto di trasferimento che conclude l’espropriazione forzata.

Ciò nonostante il debitore deve comportarsi in modo corretto per tutta la durata dell’esecuzione: non può, ad esempio, compiere atti volti ad ostacolare la vendita dell’immobile; deve conservare il bene tutelandone l’integrità, con la diligenza del buon padre di famiglia; deve abitare l’immobile personalmente e non può darlo in affitto (locazione); deve consentire, d’accordo con il custode, la visita dell’immobile da parte di potenziali acquirenti, con le modalità individuate dal giudice quando ha autorizzato la vendita dell’immobile.

Se il debitore rispetta le disposizioni «il giudice non può mai disporre il rilascio dell’immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento».

In caso contrario (se ad esempio il debitore ostacola le visite di interessati all’acquisto, se non cura la manutenzione dell’immobile, se viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico) il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell’immobile pignorato.

In pratica, se il debitore si comporta bene non può essere sfrattato dalla sua casa, prima della fine della procedura esecutiva.

Il giudice infine ordina lo “sfratto” del debitore dall’immobile quando questi non lo abita più ossia quando ha adibito un altro immobile a propria dimora abituale.

È dovere del custode dell’immobile pignorato vigilare sulla conservazione del bene pignorato, conservazione che il debitore e i suoi familiari devono attuare con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l’integrità.

Le critiche alle modifiche legislative sono ovvie. Pensiamo ad esempio a un condominio dove ci sia un comproprietario che non paga le spese condominiali da anni. L’amministratore di condominio su mandato degli altri condomini incarica un avvocato per il recupero del credito. Ma il comproprietario moroso non ha altri beni al di fuori dell’appartamento che abita nel condominio in questione. Ottenuto il decreto ingiuntivo, viene iniziata la procedura esecutiva immobiliare e secondo le nuove regole il condomino moroso è autorizzato a continuare a vivere nell’immobile pignorato, senza mai pagare nulla. Nel frattempo le aste in tribunale vanno tutte deserte, perché nessuno è interessato ad acquistare un immobile se al suo interno c’è il debitore, il quale, verosimilmente, anche dopo l’aggiudicazione dell’immobile all’asta, non se ne andrà spontaneamente. L’aggiudicatario dell’asta dovrà ricorrere all’esecuzione forzata, spendendo altri soldi, con incertezza sui tempi.

Vediamo nel dettagli le modifiche all’articolo 569 cod. proc. civ.

A seguito dell’istanza di vendita del bene, presentata dal creditore, il giudice nomina entro 15 giorni un perito per la determinazione del valore dell’immobile e fissa l’udienza di comparizione delle parti. Non oltre trenta giorni prima dell’udienza, il creditore pignorante e i creditori già intervenuti depositano un atto, sottoscritto personalmente dal creditore e previamente notificato al debitore esecutato, nel quale è indicato l’ammontare del residuo credito per cui si procede, comprensivo degli interessi maturati, del criterio di calcolo di quelli in corso di maturazione e delle spese sostenute fino all’udienza.

In difetto, agli effetti della liquidazione della somma, il credito resta definitivamente fissato nell’importo indicato nell’atto di precetto o di intervento, maggiorato dei soli interessi al tasso legale e delle spese successive.

L’atto di quantificazione dovrà essere previamente notificato al debitore.

Le nuove disposizioni si applicano alle procedure esecutive iniziate dopo la data di entrata in vigore dell’intervento di modifica.

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